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Teatro Massimo Palermo 1971

1971-Elisabetta-(Palermo)-22-(1)-(2)
1971-Elisabetta-(Palermo)-22-(1)-(2)

ELISABETTA REGINA D’INGHILTERRA di Gioachino Rossini

Rappresentazioni:

Palermo, Teatro Massimo – 9 dicembre 1971.
Interpreti: Leyla Gencer, Umberto Grilli, Margherita Guglielmi, Giovanna Vighi, Pietro Bottazzo, Gian Paolo Corradi.
Scene e costumi: Gaetano Pompa.
Direttore: Gianandrea Gavazzeni.

Tournée complessi artistici del Teatro Massimo di Palermo : 4- 7- 9 settembre 1972 al Festival Internazionale di Edimburgo.
Interpreti principali : Leyla Gencer, Umberto Grilli,Margherita Guglielmi, Pietro Bottazzo, Gian Paolo Corradi.
Scene e costumi : Gaetano Pompa
Direttore : Gianandrea Gavazzeni

Da “Il Giorno” del 9 dicembre 1970 (di Lorenzo Arruga)

Sono passati ormai quindici giorni da quando mi trovai all’improvviso al buio tra le solenni sale e i misteriosi corridoi del Teatro Massimo di Palermo. Ero là per assistere alla prima ripresa nel nostro secolo dell’”Elisabetta” di Rossini, ed ebbi a primo colpo l’impressione d’aver sbagliato opera. Ero infatti sempre in Rossini, ma in piena “scena delle tenebre”, come s’incontra nel “Mosè”. Poi, mi spiegarono che non era stato il Patriarca davanti al Faraone, ma un neo-profeta del sindacalismo di fronte al Barone, cioè al sovrintendente De Simone; e che l’intervento non era del cielo, ma delle masse: insomma, neo-umanesimo. Si trattava difatti d’uno sciopero rigorosamente rispettoso degli orari. Ad ogni modo son quindici giorni: l’opera non s’è ancora data, la stagione non s’è ancora aperta, e, se ho capito bene, ogni sera là scende puntuale il buio: sul teatro e sulle speranze di chi aspetta questo benedetto Rossini.
Così, stasera non sentiremo per radio la “ripresa”; ed è un peccato, perché questo esperimento coraggioso di riportarla sulle scene era stato premiato da uno dei più riusciti spettacoli che si fossero allestiti in Italia in questi anni. Era venuta fuori in modo splendido la bellezza, oltre che l’importanza, dell’opera: a dispetto di Rossini che diceva d’avere “sacrificato il successo” e degli studiosi perplessi da tanta abilità intesa come sfoggio di virtuosismo vocale, s’era sentita, appena messa in palcoscenico, tutta la nobiltà, la forza musicale delle architetture, la chiarezza delle linee, la fresca felicità delle innumerevoli idee musicali.
Per me, assistendo ad una prova, l’emozione era stata assai viva. L’allestimento era di rara suggestione: le scene, di Gaetano Pompa, fra nostalgie d’un Quattrocento alla Paolo Uccello e ripensamenti della lezione di un Savinio, creavano l’ambiente più adatto per la regia di Mauro Bolognini, impostata su rapporti di masse, di luci e ombre, di pochi gesti pregnanti, e chiaramente scandita sul ritmo musicale. La compagnia di canto, seguiva con perfetta coesione la limpidissima lettura impressa da Nino Sanzogno, immedesimato nell’orchestra dal suono trasparente e nella vicenda dominata con vigile equilibrio: la scattante sicurezza di Silvia Geszty, la signorilità e la bellezza timbrica di Bottazzo, la pienezza vocale di Grilli avevano fatto corona attorno a Leyla Gencer, a cui non so se il gusto di rifare la parte impervia della favolosa Colbran o la tessitura congeniale con le agilità incessanti negli acuti ha fatto trovare, accanto alle note qualità di creatrice di personaggi regali, una smagliante forma di voce.
Bene, il “giallo” continua. Quale sarà la sorte di Elisabetta? La ricerca dei colpevoli, però non mi interessa molto; tanto più che i rapporti fra la direzione e le masse, falsati dalla dissennata regolamentazione dei teatri italiani, sono complessi e valutabili con molta difficoltà a caldo: se ne potrà riparlare. Per ora ciò che preme è fare appello che Elisabetta non venga soppressa: lasciatele soltanto la possibilità di farsi intendere, adesso o nei prossimi mesi, e tutti capiranno perché.

Estratto da “Corriere della sera” di venerdì 10 dicembre 1971 (di Franco Abbiati)

All’esecuzione serena, limpida di fuori per la bellezza dei suoni e dove occorreva innervata oppure screziata dentro le pieghe orchestrali dei giochi aperti o ambigui della tavolozza come la sensibilità del Gavazzeni l’ha sentita hanno corrisposto nei quadri canori le prestazioni dell’eroica Leyla Gencer, prodigatasi fino ai limiti del possibile nella selva delle immense difficoltà tecniche, e un po’ delle espressive da lei superate con l’uso quasi infallibile dei morbidi flautati. D’efficace incisività la voce di Margherita Guglielmi qual Matilde e d’ammirevole lucentezza i mezzi dei due pronti, scattanti e a loro volta agilissimi tenori Umberto Grilli come Leicester e Pietro Bottazzo come Norfolk. Apprezzabile Giovanna Vighi nei panni virili di Enrico, ottimo Gian Paolo Corradi quale Guglielmo, capitano delle guardie. Impeccabili i pochi interventi del coro diretto da Mario Tagini.
Regia di Mauro Bolognini, molto bene ordinata e sorvegliata entro le scene e con costumi d’una Inghilterra elisabettiana concepita con vivace gusto illustrativo da Gaetano Pompa, del quale gli stimoli fantastici e un po’ surrealisti, ripetuti anche su un delizioso siparietto di proscenio, hanno ricordato specie nel primo atto, le rossiniane panoramiche del compianto Savinio. Successo caldissimo.

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